Perchè Gesù si è lasciato uccidere?

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CRISTO Lo scandalo della morte in croce

 

INTERROGATIVI PERCHÉ GESÙ SI È LASCIATO UCCIDERE? UN MISTERO CHE TORNA A INQUIETARE E IL CARDINAL RATZINGER RISPONDE: LA SUA GIUSTIZIA NON È NEL POTERE DI QUESTO MONDO

 

INTERROGATIVI Perché Gesù si è lasciato uccidere? Un mistero che torna a inquietare E il cardinal Ratzinger risponde: la sua giustizia non è nel potere di questo mondo CRISTO Lo scandalo della morte in croce Il Duemila sembra essersi accorto improvvisamente della morte di Cristo. Perché si è lasciato umiliare, offendere, mettere in croce? In questi giorni la domanda «perché doveva morire?» appare contemporaneamente sulle copertine dell' illustrato della «Sueddeutsche Zeitung» e dell' americano «U.S.News». Il primo ospita un' ampia intervista di Peter Seewald al cardinal Joseph Ratzinger (è parte di un libro che uscirà in autunno con il titolo Dio e il mondo); il secondo è un lungo intervento di Jeffery L. Sheler. Quesito inquietante che la teologia cristiana si pone da sempre. A Ratzinger viene posta la più logica delle domande: «Perché Dio ha dovuto soffrire e quindi morire per salvare la sua stessa creatura?». Il cardinale risponde: «È il mistero divino: non è venuto sulla terra come qualcuno che volesse stabilire la giustizia attraverso il potere. Lui è sceso per soffrire con noi e per noi. Non potremo mai arrivare a capire questo mistero». Poi prosegue ricordando alcuni punti fermi: «Dio non regna attraverso il potere. Dio esercita il suo potere in modo differente rispetto ai potenti della terra. Il suo potere è nel suo "amare-con" e "soffrire-con" e il vero volto di Dio si rivela proprio nella sofferenza. Dio si fa piccolo affinché noi possiamo toccarlo». Il verbo usato «fassen» significa proprio afferrare, prendere, in sostanza capirlo, toccarlo. Dio, insomma, sceglie l' umiliazione e la morte per comunicare il suo messaggio, per «completare» il disegno della creazione. Sant' Agostino si pose tutte queste domande e si accorse che senza la trasgressione di Adamo ed Eva l' uomo «poteva non morire». Forse per questo un pensatore come Ernest Renan, che non va certamente catalogato tra gli osservanti o i bigotti, nella sua Vita di Gesù ha scritto: «Tutta la storia è incomprensibile senza il Cristo». Certo, la morte è difficile da accettare per l' uomo. Noi, proprio mentre ci poniamo tutti i quesiti ricordati, cerchiamo di rimuoverla, di allontanarla, magari anche con la più sofisticata ingegneria genetica. Eppure è l' unica certezza che abbiamo. Anatole France ne La vie littéraire ironizza su questo aspetto: «Non potendo vivere più a lungo si disponeva a andare a vedere, come diceva la contessa di P., se Dio ci guadagna a essere conosciuto». Anche la filosofia e la teologia hanno avuto bisogno della «morte di Dio» per ripensare radicalmente il rapporto tra noi e il trascendente. C' è stato anche un venerdì santo del pensiero. Da due secoli questa idea tormenta non poche menti. Si citano le parole di Friedrich Nietzsche, consegnate alle pagine di Così parlò Zarathustra, per spiegare quel che un certo giorno si osò dire: «Dio è morto». La sua non era un' affermazione che commentava i fatti della passione; era piuttosto la constatazione che la fede nel Dio cristiano «è diventata inaccettabile». Si ricominciava da capo. La filosofia doveva cambiare, rivolgersi a un superuomo. Ma non va dimenticato che Nietzsche tira le conclusioni di un lungo processo. L' idea del crepuscolo di Dio la si può ritrovare nella tragedia I masnadieri di Friedrich Schiller (correva l' anno 1781). La si può anche leggere in un saggio di Heinrich Heine sulla «Revue des duex Mondes» del 1834, dedicato alla Germania dopo Lutero, in cui si ricorda che un Dio purificato, spiritualizzato, paterno, misericordioso, benefattore del genere umano non poteva salvarsi. La conclusione sarcastica dell' articolo è eloquente: «Non sentite la campanella? In ginocchio! Si portino i sacramenti a un Dio che muore». E l' espressione «uccidere Dio», che poi avrà una certa fortuna nei progetti di Marx, la si poteva trovare ben confezionata nell' Unico di Max Stirner, ovvero nella bibbia dell' anarchismo, pubblicata nel 1845. Quando il problema giunse nelle analisi del nostro secolo, ci si accorse che tutti gli sforzi di demolizione ottocenteschi avevano rafforzato l' idea di Dio, vale a dire che l' uomo poteva continuare a ancora a credere con un' altra prospettiva. L' affermazione «Dio è morto» perse lentamente il suo significato e ne acquistò altri. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) dirà semplicemente che la morte di Dio altro non è che «morte della sua presenza tra gli uomini», ovvero una sua impotenza e crocefissione. L' assenza di Dio va interpretata come un grande rispetto per l' uomo e favorisce la sua crescita; infine la fede non abbandona il mondo, ma lo «sperimenta, lo ama e gli resta fedele», nonostante le sofferenze che gli dispensa. Non esiste più nemmeno, per Bonhoeffer, il problema individualistico della salvezza dell' anima: per questo teologo non c' è né nel Nuovo né nel Vecchio Testamento. Addirittura creazione, incarnazione, crocefissione e resurrezione del Cristo valgono soltanto per il nostro mondo. Dio non è un mago per le questioni insolubili, né il sostegno alla debolezza umana. Scriverà in Resistenza e resa: «Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona. Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza prendere Lui come ipotesi di lavoro, è il Dio davanti al quale noi stiamo sempre». In questa luce la morte sul Golgota acquista una nuova forza, significati impensabili sino a quando i confini del pensiero teologico erano compresi in un perimetro che sarebbe piaciuto ad Aristotele. Anche le parole di Ratzinger, in un altro punto della ricordata intervista, mettono in crisi la ragione che vuol capire, che cerca di spiegare: «La sua via attraversa l' impotenza e la sopportazione della morte... I discepoli devono imparare che solo così, e in nessun altro modo, il regno di Dio potrà essere realizzato sulla Terra». Sulla croce è dunque morto il Figlio di Dio, nelle opere dei filosofi si voleva eliminare il Padre. Entrambi, però, conoscono la resurrezione.

Torno Armando

Tratto da un articolo del Corriere del 22-4-2000

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