Io sono il pane della vita

eucarestia

 Vangelo   Gv 6, 24-35
Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». 

Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da mangiare un pane dal cielo"». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 

Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Commento di mons. Antonio Riboldi

Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo descrive oggi. 
La folla era stata saziata dal grande ed inaspettato miracolo della moltiplicazione dei pani. Aveva quindi intravisto la possibilità di trovare in Gesù una certezza materiale, per il proprio futuro: Gesù, in un modo o in un altro avrebbe risolto i problemi quotidiani, quelli che ancora oggi affliggono tragicamente singole persone, famiglie intere o Nazioni. 
Basta pensare alla fame che in tante Nazioni, in Africa, genera morti ogni giorno. Oggi, sono ancora tanti, nell'intera comunità umana, coloro che sono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla stessa libertà, come un sogno irraggiungibile, riservato solo ad alcuni fortunati, come noi dei Paesi sviluppati. Quello che fa più male è che spesso, proprio noi, non sentiamo più la loro voce, perché è coperta dal frastuono di un benessere che non dà spazio ai lamenti altrui, o meglio, al grido di giustizia, che chiede ciò che loro spetta, a cominciare da un pezzo di pane... Leggendo circa i rifiuti che buttiamo via, rilevati dagli esperti, - e sono migliaia di tonnellate al giorno - ci torna alla mente il grido di Gesù: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero ammalato e non mi avete visitato... Andate, maledetti nel fuoco eterno... ' 
Ho l'occasione, come vescovo, di incontrare spesso missionari che scelgono di vivere in zone dove la fame è regina. Chiedono giustizia più che aiuto: quella giustizia che non trova abbastanza posto nel mondo consumistico... eppure a volerlo, un pezzo di pane la terra lo potrebbe dare a tutti! 
Questo è davvero quello che fa male a chi ha a cuore la carità. Molte volte a noi costa poco mettere in disparte qualcosa per chi ha nulla... ma poi, magari anche in nome della crisi economica, ci chiudiamo nel nostro egoismo. È vero che tante comunità parrocchiali oggi si prendono cura dei poveri ed hanno punti di accoglienza, dove è possibile avere almeno un pasto al giorno. E noi benediciamo questi fratelli che si adoperano per coloro che sono in difficoltà, ma possiamo fare di più. Basterebbe riservare una piccola parte del nostro vitto per chi non ha nulla. Ho sempre ammirato la testimonianza di un mio confratello che, ogni giorno, a tavola toglieva qualcosa del suo, che poi donava ai suoi poveri. Era una meravigliosa condivisione. 
Scriveva il grande Paolo VI: "Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo mostrano: e quali prove tragiche, che oscurano generazioni! L'educazione cristiana alla povertà - intesa come distacco assoluto dall'idolatria del benessere - sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine che è Dio e il prossimo che è il fratello da amare e da servire e liberare dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, come dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere". 
In altre parole dovremmo saper vedere nell'uomo, ovunque abiti, il fratello che oggi è Cristo tra di noi e attende una risposta o una testimonianza della carità. Non è questione di fare un'elemosina, ma di andare oltre, abbracciando l'intera umanità e farsi prossimo a chi sta male. 
A volte, invece, si ha come l'impressione che i poveri diano fastidio, ieri come oggi. 
Ricordo, dopo qualche giorno dal terremoto nel Belice, in aereo stavo recandomi a visitare mamma, molto preoccupata. Avevo perso tutto, quindi ero vestito in qualche modo... la cosa, probabilmente, diede fastidio al mio vicino, che fece presente, non certo con garbo, il suo pensiero, dichiarando che 'in aereo non avrebbero dovuto salire gli straccioni'. Un altro passeggero, che mi aveva conosciuto, intervenne con veemenza: 'Lei non sa chi è questa persona: è don Riboldi, un sacerdote che sta dando tutto per i suoi terremotati'. Per quanto mi riguarda, per un attimo ero stato felice di sentirmi quello che allora davvero ero: povero! 
Ma bisogna avere occhi e cuore di Cristo, per saper leggere e non solo vedere i poveri, come è nel Vangelo di oggi.
Per la folla e per noi, Gesù alza il tiro, parlando del pane, fonte della vita. Non dimentica l'urgenza del pane, per coloro che hanno fame, ma neppure vuole che ci si fermi alla dimensione materiale, pur necessaria... Il suo discorso va oltre la vita terrena e mira direttamente al pane che dona la vita eterna: una necessità nutrirsi del pane materiale, altro è nutrirsi del Pane del cielo. 
Lo conosciamo tutti quel pane, che è l'Eucarestia: Gesù stesso che si fa Pane della Vita. Una vita che va oltre quella provvisoria dell'esistenza terrena, oltre la morte: la vita eterna con Lui. 
Eppure, se ci guardiamo attorno, tanti di noi, che pure si dicono credenti, fanno fatica anche solo a pensare che la Comunione possa essere il grande nutrimento dell'anima. È difficile anche solo entrare nella profondità di questo Dono del Cielo. Genera come uno stordimento, anche solo pensare che quella piccola Ostia, che a volte, o ogni giorno riceviamo, sia davvero Gesù in persona. Per grazia di Dio ci sono però tanti per i quali il Pane del Cielo è davvero il nutrimento della vita interiore e non riescono a vivere senza nutrirsene. 
Mamma, nonostante la famiglia numerosa, i tanti sacrifici, iniziava la sua giornata con il ricevere la S. Comunione, dicendoci spesso: 'Senza di Lui non saprei come educarvi ed amarvi. È la mia forza'. 
E ricorderò sempre quello che mi insegnò dopo la mia prima Comunione. Prima di andare a scuola voleva che andessi a ricevere l'Eucarestia. Allora la si poteva ricevere solo se si era digiuni. Quando tornavo era già ora della scuola e trovavo mamma che mi attendeva con un pezzo di pane e se mi lamentavo diceva: 'Meglio una buona comunione che una colazioné. 
È vero: difficile esprimere la gioia e la forza interiore che si prova, iniziando la giornata con il Pane che dà la vita, Gesù stesso! 
Poteva Gesù farci un dono più grande? Sicuramente no. Ma allora perché un tale dono è così poco apprezzato? 
Credo davvero che dobbiamo chiedercelo e cercare di darci una risposta, se così fosse.... chiedendo la grazia di comprendere che fare dell'Eucarestia il nostro cibo è dare pienezza di senso, di forza e di serenità alla nostra esperienza umana quaggiù, per prepararci, fin da ora, a 'vivere di Dio'... cosa potremmo desiderare di più?

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