Non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente

sanpaolo

San Paolo

Ef 4,17-19

17 Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, 18 accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. 19 Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

 

Il dono incommensurabile ricevuto da Dio, ampiamente descritto nei primi tre capitoli della Lettera, si presenta necessariamente come una enorme "spaccatura" rispetto alla propria precedente condizione di vita: è veramente una vita del tutto nuova quella nella quale siamo stati collocati. Voglio subito osservare con voi la realtà di questi "pagani" del ver.17, e precisare che noi li conosciamo nel dramma della loro vita, perchè li ri-conosciamo in noi stessi. E' in noi cioè, che si è compiuto questo strappo dalla morte alla vita che ora ci fa apparire nella sua drammaticità quello che prima vivevamo con "naturalezza"; era infatti semplicemente la nostra vita. E adesso? Adesso il paganesimo sta di fronte a noi come le tenebre di fronte alla luce, ma la percezione di questo contrasto l'abbiamo solo perchè siamo stati trasportati in questa vita nuova, secondo Dio. Per questo, il dissidio frontale tra paganesimo e cristianesimo lo viviamo dentro di noi. Ed è questo che spiega perchè Paolo si rivolga ai suoi fratelli di Efeso con tanto impeto e impegno:"Vi dico dunque e vi scongiuro.."; perchè egli sa bene che il "confronto" tra le due alternative opposto non è evitabile, e si celebra all'interno di ogni coscienza cristiana. Il credente è inevitabilmente una personalità spezzata; nessuno più di lui percepisce e soffre il dramma di questo contrasto, perchè egli lo vive prima di tutto dentro di sè.

Il nostro testo attribuisce il massimo rilievo alla "notizia", al Vangelo, che ha radicalmente cambiato tutto, facendoci uscire dalla prigionìa della "vanità della mente"(ver.17). Adesso, a motivo del dono della fede, si può percepire tutto il "vuoto" di cui si era vittime e prigionieri. Il ver.18 sottolinea il dramma attraverso gli attributi supremi della vita divina che ci è stata donata: la luce e la vita. La luce evidenzia come senza il dono divino si vive "ciechi nel pensiero"("accecati nei loro pensieri"). La vita evidenzia come si era "estranei alla vita di Dio"(confronta con quanto già ascoltato in Ef.2,12). La condizione pagana è segnata quindi dall' "ignoranza" e dalla "durezza del cuore". Insisto nel dire che questa situazione negativa non possiamo pensare di gettarcela alle spalle, magari attribuendola tranquillamente ad altri, perchè essa incombe sulla nostra vita. Anzi, come accennavamo prima, solo il credente ha viva nella sua coscienza la tensione tra la vita e la morte.
Al ver.19 bisogna quindi rivedere quel "diventati insensibili" della versione italiana. Non possono essere "diventati" insensibili, perchè tali sono per la loro condizione naturale, s'intende, di una natura ferita. E bisogna approfondire il senso di questo termine "insensibile", perchè esso porta in sè un significato molto profondo. In italiano lo si potrebbe rendere con "indolenti", accorgendoci però che la parola contiene la nota del dolore. Questo è molto interessante perchè, senza indulgere a dolorismi, bisogna dire che l'esperienza del dolore è propria del credente, proprio a partire dalla sua acuta percezione del contrasto tra le due esistenze, quella della vita e quella della morte. In certo modo la vita cristiana è "esperta di dolore".Il dolore è provocato in lei dalla inevitabile e crescente(!) percezione del contrasto e della lotta tra le due alternative radicali. Più viene immerso nel Vangelo, più il credente esce da ogni "insensibilità" e, insieme alla gioia della fede, vive - in se stesso! - il dolore del suo peccato. Il peccato infatti è il riprecipitare nella condizione dalla quale il Signore lo ha liberato.

Giovanni Nicolini

 

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