Vangelo Mc 1,12-15
Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli.
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Commento di Mons. Gianfranco Ravasi
L'episodio della tentazione è una via per la verifica della libertà e capacità di scelta: un conflitto che Gesù supera con la totale adesione al progetto del Padre.
Lasciamo da parte certe interpretazioni "razionaliste" del passato che cercavano di individuare in filigrana alla narrazione evangelica di Matteo e Luca la sintomatologia di alcune patologie legate all'eccesso di digiuno e alle relative allucinazioni: il desiderio ardente di cibo (trasformare le pietre in pane), le vertigini (buttarsi dall'alto del tempio), l'illusione di dominare tutte le cose (tutto può diventare tuo). In pratica Gesù verrebbe tratteggiato come uno dei vari santoni che si abbandonano a digiuni quasi anoressici con esiti ritenuti magici dai loro seguaci.
In realtà la vicenda delle tentazioni di Gesù è molto più complessa, se stiamo al vero senso del racconto evangelico. Ma partiamo da una sola frase certamente impressionante: «Il diavolo condusse Gesù con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio». Così si legge nel racconto di Matteo (4,5). Anche per l'altra tentazione, quella del monte, Luca scrive: «Il diavolo lo condusse in alto» (4,5), immaginando quindi un vero e proprio trasferimento "aereo".
Ecco, allora, la duplice possibilità ventilata dai lettori della Scrittura, secondo la loro diversa sensibilità: si tratta di un "miracolo" satanico oppure bisogna intendere la frase in senso figurato? Di per sé i falsi prodigi possono essere compiuti anche dai maghi d'Egitto, come si ricorda a proposito delle celebri "piaghe", oppure possono essere provocati da «falsi cristi e falsi profeti» che «faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti», come dichiara lo stesso Gesù (Matteo 24,24).
Nel racconto delle tentazioni di Cristo il discorso è, però, diverso e rimanda ad una corretta interpretazione di quella pagina. E’ indubbio che siamo in presenza di un'esperienza storica, testimoniata da Cristo stesso, perché difficilmente la comunità cristiana delle origini avrebbe "inventato" un episodio in cui il suo Signore era messo in balìa di satana, trasferito da un luogo all'altro, sottoposto a una provocazione sistematica. E’, quindi, Gesù stesso a confessare la sua esperienza: essa è capitale per affermare la sua umanità reale e non fittizia. La tentazione, infatti, in senso stretto è una via per la verifica della libertà e della capacità di scelta, di volontà, di decisione. In questo senso Cristo rivela che la sua umanità era piena, segnata da quell'elemento fondamentale che è la libertà. Ora, la vicenda dell'esercizio della volontà libera ha sollecitazioni esterne (ad esempio il fascino del potere, della ricchezza, del successo, come appare nelle tre scene del racconto di Matteo e Luca), ma il suo sviluppo è squisitamente interiore. Siamo, quindi, in presenza di un modo figurato e "drammatico" per narrare un conflitto della coscienza che naturalmente Gesù supera con la sua totale adesione al progetto del Padre.
Più che essere sballottato esteriormente qua e là, Cristo è interiormente spinto dal tentatore a scegliere vie alternative alla missione che il Padre gli ha indicato: quelle di un messianismo sociale (i pani), taumaturgico (il prodigio della caduta dal pinnacolo del tempio, rimanendo illeso), politico (i regni della terra). L'esemplificazione visiva di queste vie fa, dunque, parte di un genere letterario narrativo-drammatico. Detto in altri termini, Gesù stesso, confidando la sua esperienza umana storica intima ai discepoli - che poi la racconteranno nei vangeli -, l'ha descritta "sceneggiandola", alla maniera semitica, in tre atti emblematici i cui contenuti sono, però, reali e costituiscono l'oggetto effettivo della tentazione.
Anzi, a essere più precisi, il racconto è modellato su una sorta di controversia scritturistica (si citano il Deuteronomio e il Salmo 91) in cui satana si traveste quasi da esegeta rabbinico, trovando una ferma e sistematica replica da parte del rabbì Gesù. La dimensione teologica rimane, quindi, rilevante: l'evento autobiografico di Gesù non è meramente narrato come un fatto che può incuriosire, ma è interpretato nel suo significato profondo. E questo è confermato anche dal fatto che si rimanda allusivamente alle tentazioni di Israele nel deserto e che i singoli evangelisti lasciano un'impronta interpretativa teologica personale.
Infatti Luca inverte l'ordine delle tentazioni mettendo al vertice il tempio (e non il monte come Matteo) perché per lui è Gerusalemme la meta ultima dell'itinerario terreno di Cristo. Marco, invece, ignora le tre scene proposte da Matteo e Luca e in un breve testo di sole quattro frasi dipinge Gesù come il nuovo Adamo che, non cedendo alla tentazione, vive "con le fiere", in un mondo pacificato e armonico: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano» (1,12-13).