04/12 2012

Gesù tentato da satana - Gianfranco Ravasi


Vangelo Mc 1,12-15
Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli.

 In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

Commento di Mons. Gianfranco Ravasi

L'episodio della tentazione è una via per la verifica della libertà e capacità di scelta: un conflitto che Gesù supera con la totale adesione al progetto del Padre.

La­sciamo da parte certe interpretazioni "razionali­ste" del passato che cercavano di individuare in filigrana alla narrazione evangelica di Matteo e Luca la sintomatologia di alcune patologie lega­te all'eccesso di digiuno e alle relative allucina­zioni: il desiderio ardente di cibo (trasformare le pietre in pane), le vertigini (buttarsi dall'alto del tempio), l'illusione di dominare tutte le cose (tutto può diventare tuo). In pratica Gesù ver­rebbe tratteggiato come uno dei vari santoni che si abbandonano a digiuni quasi anoressici con esiti ritenuti magici dai loro seguaci.

In realtà la vicenda delle tentazioni di Gesù è molto più complessa, se stiamo al vero senso del racconto evangelico. Ma partiamo da una sola frase certamente impressionante: «Il diavolo condusse Gesù con sé nella città santa, lo depo­se sul pinnacolo del tempio». Così si leg­ge nel racconto di Matteo (4,5). Anche per l'altra tentazione, quella del monte, Luca scrive: «Il diavolo lo condusse in al­to» (4,5), immaginando quindi un vero e proprio trasferimento "aereo".

Ecco, allora, la duplice possibilità ven­tilata dai lettori della Scrittura, secondo la loro diversa sensibilità: si tratta di un "miracolo" satanico oppure bisogna in­tendere la frase in senso figurato? Di per sé i falsi prodigi possono essere compiuti anche dai maghi d'Egitto, come si ricor­da a proposito delle celebri "piaghe", oppure possono essere provocati da «falsi cristi e falsi profeti» che «faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in er­rore, se possibile, anche gli eletti», come dichiara lo stesso Gesù (Matteo 24,24).

Nel racconto delle tentazioni di Cristo il discorso è, però, diverso e rimanda ad una corretta interpretazione di quella pagina. E’ indubbio che siamo in presenza di un'esperien­za storica, testimoniata da Cristo stesso, perché difficilmente la comunità cristiana delle origini avrebbe "inventato" un episodio in cui il suo Si­gnore era messo in balìa di satana, trasferito da un luogo all'altro, sottoposto a una provocazio­ne sistematica. E’, quindi, Gesù stesso a confessa­re la sua esperienza: essa è capitale per afferma­re la sua umanità reale e non fittizia. La tentazio­ne, infatti, in senso stretto è una via per la verifi­ca della libertà e della capacità di scelta, di volon­tà, di decisione. In questo senso Cristo rivela che la sua umanità era piena, segnata da quell'elemento fondamentale che è la libertà. Ora, la vi­cenda dell'esercizio della volontà libera ha sollecitazioni esterne (ad esempio il fascino del pote­re, della ricchezza, del successo, come appare nelle tre scene del racconto di Matteo e Luca), ma il suo sviluppo è squisitamente interiore. Sia­mo, quindi, in presenza di un modo figurato e "drammatico" per narrare un conflitto della co­scienza che naturalmente Gesù supera con la sua totale adesione al progetto del Padre.

Più che essere sballottato esteriormente qua e là, Cristo è interiormente spinto dal tentatore a scegliere vie alternative alla missione che il Pa­dre gli ha indicato: quelle di un messianismo so­ciale (i pani), taumaturgico (il prodigio della ca­duta dal pinnacolo del tempio, rimanendo ille­so), politico (i regni della terra). L'esemplifica­zione visiva di queste vie fa, dunque, parte di un genere letterario narrativo-drammatico. Detto in altri termini, Gesù stesso, confidando la sua espe­rienza umana storica intima ai discepoli - che poi la racconteranno nei vangeli -, l'ha descritta "sceneggiandola", alla maniera semitica, in tre at­ti emblematici i cui contenuti sono, però, reali e costituiscono l'oggetto effettivo della tentazione.

Anzi, a essere più precisi, il racconto è mo­dellato su una sorta di controversia scritturisti­ca (si citano il Deuteronomio e il Salmo 91) in cui satana si traveste quasi da esegeta rabbini­co, trovando una ferma e sistematica replica da parte del rabbì Gesù. La dimensione teologica rimane, quindi, rilevante: l'evento autobiografi­co di Gesù non è meramente narrato come un fatto che può incuriosire, ma è interpretato nel suo significato profondo. E questo è conferma­to anche dal fatto che si rimanda allusivamente alle tentazioni di Israele nel deserto e che i sin­goli evangelisti lasciano un'impronta interpreta­tiva teologica personale.

Infatti Luca inverte l'ordine delle tentazioni mettendo al vertice il tempio (e non il monte co­me Matteo) perché per lui è Gerusalemme la meta ultima dell'itinerario terreno di Cristo. Marco, invece, ignora le tre scene proposte da Matteo e Luca e in un breve testo di sole quat­tro frasi dipinge Gesù come il nuovo Adamo che, non cedendo alla tentazione, vive "con le fiere", in un mondo pacificato e armonico: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase qua­ranta giorni, tentato da satana; stava con le fie­re e gli angeli lo servivano» (1,12-13).