A cosa è simile il Regno di Dio?

La parabola del seme

Vangelo Mc 4, 26-34
È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell'orto.

Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

 

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


Commento di mons. Antonio Riboldi

Da un piccolo seme un grande albero

È sempre per me un grande dono di Dio farmi vicino a tanti fratelli nella fede e con loro entrare nella bellezza divina della Sua Parola che è la vera via da percorrere, per dare senso alla nostra esistenza. Si nota un vuoto di senso attorno a noi, per cui a volte molti non riescono a capire la ragione stessa della loro vita, affidandosi così a fatti, sogni e cose che hanno il passo breve.

Ma ci sono anche coloro che nel tempo si accorgono di essere entrati in una famiglia o comunità o accanto ad una persona con cui, insieme, è possibile cercare di gustare e farsi educare dalla Parola. Si ha allora come l'impressione di aprire una finestra nell'animo di chi insieme a noi medita e riflette e da quella finestra entra tanta luce.

È sempre una grande gioia, e per questo spero che anche il nostro dialogo divenga luce in voi. Grazie, carissimi e carissime! Magari potessi offrire, grazie anche al vostro prezioso aiuto, un solo barlume di Luce, di Speranza a tanti altri!

Infatti, se c'è un atteggiamento, presente in tanti, che crea sofferenza, ma è soprattutto stonata sulla bocca di troppi cristiani, è il manifestare insistentemente quasi un senso di impotenza di fronte alla brutalità del male, che il mondo ci prospetta giorno dopo giorno, in una scalata che sembra volersi avvicinare al dominio totale sull'uomo.

Quanta gente, oggi, porta sul volto l'espressione dell'amarezza che ha dentro. A volte si ha come l'impressione che il male stia sommergendoci, negandoci ogni briciola di speranza.

Basta sfogliare i giornali, per leggere nelle prime e... in tutte le notizie, il disagio dell'umanità.
Un disagio che si incarna nei tanti fatti negativi che accadono, privati e pubblici, o nei fatti di reale sofferenza di tanti, che vorrebbero forse vedere un mondo diverso, vivere una vita più serena, essere protagonisti con tutti di cronache che suscitino speranza: speranze che sembrano spesso svanire, lasciando un vuoto ancora più devastante.

Qualche giorno fa', un uomo - molto colto fra l'altro - evidentemente non riuscendo a farsi una ragione del male che è tra noi, mi fece questa domanda: 'Mi dica, Padre, cosa consiglierebbe ad un giovane? Mettersi decisamente sulla strada della verità, della giustizia, dell'amore, ossia sulla strada di Cristo, distinguendosi nettamente dalle regole del mondo, ma rischiando di farsi emarginare proprio per le sue scelte, frutto di grandi ideali o, visto l'andazzo generale accettare qualche compromesso con la propria coscienza, che la società offre in ogni settore, sporcandosi senza troppi scrupoli mani e cuore, perdendo forse la dignità, ma assicurandosi favori e una strada percorribile?'. A me pare che la risposta sia già nella domanda stessa, ma penso sia opportuno esplicitarla con chiarezza e, per questo, ci viene incontro oggi l'apostolo Paolo, grande testimone della totale aderenza al Vangelo e, di conseguenza, proprio per le sue scelte radicali, vittima di incredibili persecuzioni, al punto da metterne a rischio la stessa vita, e più volte. Ma a Paolo poco importava il bene della sola vita temporale! Troppo profonda ormai la sua 'assimilazioné a Cristo.

Il Vangelo certamente fa giustizia di tanti che voltano le spalle a Cristo per non avere fastidi nella vita. Facile cedere al vuoto del mondo, sembra non si corrano rischi... ma spesso, già quaggiù, i frutti dell'agire secondo il mondo sono solitudine e non senso, mentre stupendo è il 'premio' garantito alla coerenza di chi fa del Vangelo il solo Libro della sua vita: è pace e gioia nello spirito. E, grazie a Dio, ci sono ancora tanti cristiani che non si lasciano intontire dall'ambizione alle cariche o dalla superficialità delle mode senza senso.

Le critiche sono per loro la conferma davanti a Dio e agli uomini che la coerenza nella fede è un bene che va oltre tutti i vantaggi momentanei, spesso definiti 'bene', ma che tali non sono.

Ma occorre davvero vivere una fede che riveli la pienezza della Presenza di Dio, l'Unico capace di sostenerci fino al martirio.

Scrive, dunque, oggi, S. Paolo ai Corinti:
"Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione - siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, CI SFORZIAMO DI ESSERE A LUI GRADITI. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male". (II Cor. 5,6-10)

Impressiona oggi, diciamocelo con quella sincerità che è la sola luce che ci aiuta a trovare la giustizia, quella dannata leggerezza che serpeggia nell'accettare le tante offerte del mondo, simili a fuochi artificiali nella notte, che offrono luce e calore per la durata di pochi secondi!

Una volta spentisi, si torna al buio e alla realtà evanescente a cui ci siamo affidati.
È 'coraggio' l'affidarsi al nulla delle cose o non è piuttosto essere degli sprovveduti, incapaci di guardare oltre l'immediato, il subito ed adesso?

Occorre davvero tanto coraggio per essere cristiani veri, che si nutrono di fede e danno alla vita il significato che Dio stesso le ha donato?
Racconta l'evangelista Marco ciò che Gesù disse alla folla:
"Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura". (Mc. 4, 26-34)

Ed è davvero così. I cristiani, che con serietà vivono di fede, di fatto da essa si fanno condurre e... neanche si accorgono della loro bontà, della loro stessa fedeltà: la fede è in loro un seme che cresce, ma essi sono solo tesi ad essere fedeli nella ricerca di Dio: una ricerca che matura come il seme che diventa spiga.

Sono tanti i fratelli nella fede che la coltivano nella vita, forse conoscono anche la fatica di mettere alle spalle il mondo, ma soprattutto vivono dell'interiore gioia che Dio dona in pienezza a chi vive di fede in Lui: chi ama non pensa a ciò che rinuncia, ma all'amore di cui vive.

Ogni volta visito qualche monastero o incontro cristiani di fede profonda, mi stupisce la loro serenità, a volte nonostante difficoltà o sofferenze.

Hanno lo sguardo di chi vede oltre il tempo, oltre le apparenze. Cercano di dare alla vita, in ogni atto o gesto quotidiano, anche il più semplice, la stessa cura che Dio ha per il seme che ha posto in loro. Sono un vero spettacolo che sparge speranza nel mondo, come una sfida da accettare.

D'altra parte tutti sappiamo che la vita non è uno scherzo: la vita non concede a nessuno leggerezza e superficialità, perché comunque, per la sua stessa finitezza, mette a dura prova ciò che davvero siamo e crediamo.

Quello che ogni volta dico a me stesso: il sorriso di un cristiano di grande e sincera fede - e ne incontro tanti - testimonia la bellezza dell'uomo che, ogni giorno, si lascia plasmare da Dio.

Ma sappiamo dare a Dio la nostra totale ed incondizionata fiducia, abbandonandoci alla Sua azione, mettendo la nostra vita nelle Sue mani e nel Suo Cuore, affidandoci a Lui, credendo che Lui e solo Lui conosce il cammino che dobbiamo percorrere per essere davvero felici?

Dio non voglia, carissimi, che viviamo senza una ragione o senza uno sguardo al Cielo. Ricordiamocelo sempre: non siamo cose, siamo figli del Padre, tutti, e quindi chiamati alla sola Bellezza che è propria dei figli di Dio, quella che si riflette nelle persone buone.

Affermava Paolo VI, nostro grande amico ora dal Cielo:
"La vita cristiana è come un sole che splende sull'insieme dei nostri giorni. Figlioli miei, se questo sole finisce per spegnersi, che cosa si perderebbe?
Alcuni dicono niente e invece si perderebbe proprio il senso della vita: perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, perché soffrire, perché vivere, perché morire se non c'è una speranza al di sopra di questa nostra povera vita sulla terra?
La gioia cristiana - giova ripeterlo - è dare il senso, il valore, la dignità al nostro passaggio sulla terra. Per questo il nostro grido è: Siate veri cristiani: cristiani nelle opere e non a parole".

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