07/25 2012

Il celibato e la verginità per il Regno - Raniero Cantalamessa

La genealogia di Gesù sembra scritta apposta per mettere in luce il posto della verginità nella storia della salvezza.
Per 42 volte si ripete il nome di un uomo che genera un altro uomo: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, ecc. Nessuna donna vi compare se non incidentalmente a rappresentare il peccato: Tamar, la prostituta, detta dea, l’adultera.
Ma ecco che arriviamo alla fine e tutto cambia. Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Dalla quale, non dal quale, neppure dai quali. La catena si interrompe, la donna, la quale prima non era nulla, ora è tutto. A pensarci bene, quale rivoluzione anche nella storia della condizione femminile.
L’umanità è come un fiume che adesso è arrivato a una chiusa e riparte a un livello più alto. È ciò che Ireneo chiama la ricapitolazione, cioè il riprendere le cose dall’inizio per portarle al loro compimento. Una frase celebre di Ireneo è: come il primo Adamo fu plasmato dalla vergine terra, non ancora arata e seminata, così il nuovo Adamo è plasmato dalla Vergine Maria.
Alla luce della verginità di Maria, vogliamo continuare la nostra riflessione sul celibato e la verginità per il regno dei cieli.
In occasione del 16° centenario del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel 381, quello che definì la divinità dello Spirito Santo, il santo Padre Giovanni Paolo II scrisse una lettera apostolica in cui tra l’altro diceva: Tutta l’opera di rinnovamento della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente proposto e iniziato, non può non realizzarsi se non nello Spirito Santo, cioè con l’aiuto della sua luce e della sua forza. E queste ultime parole sono sottolineate nell’originale.
Questa affermazione vale in modo del tutto particolare per il rinnovamento del celibato e della verginità consacrata e cercheremo di vedere subito perché. Io dico che lo Spirito Santo non fa cose nuove, ma fa nuove le cose, cioè non crea dottrine e istituzioni nuove ma rinnova perennemente quelle create da Cristo, e una di esse è proprio il celibato e la verginità. Questi sono valori splendidi che le mode e il tempo non possono alterare. Si potranno coalizzare tutte le forze e la sapienza di questo mondo, le scienze umane, per protestare contro questo ideale, fino a definirlo come ha fatto una nostra antropologa “un’infamia del passato” (a questo si possono aggiungere tutte le infedeltà e i peccati di coloro che hanno scelto di abbracciare questi stati), ma essi resteranno perché li ha piantati Gesù. Nessuno potrà sradicare questa pianticella che il Figlio di Dio ha piantato con le proprie mani venendo in questo mondo. Potranno variare le modalità di attuazione, le leggi e i canoni che li regolano, ma mai verranno a mancare nella Chiesa la verginità e il celibato per il Regno.
Partecipando a degli incontri vocazionali io ho avuto, a volte, l’impressione che l’invito a vocazioni di speciale consacrazione venissero fatti con questo tacito sottinteso: abbracciate la nostra vita, nonostante che essa comporti il celibato e la verginità, potrete infatti contribuire alla venuta del Regno, aiutare i poveri, coscientizzare le masse, vivere liberi dalle cose, promuovere la giustizia sociale. Dovremmo convertirci, perché questa è mancanza di fede. E dovremmo avere il coraggio di invitare i giovani ad abbracciare la vita consacrata non nonostante la verginità e il celibato, ma a causa di essi o almeno anche a causa di essi. In passato questo ha attirato schiere di giovani. Il braccio del Signore non è diventato più corto oggi nel 21° secolo.

In quest’ultima meditazione vorremmo dunque riflettere sulla dimensione pneumatica del celibato e della verginità.
Il posto dello Spirito Santo.
Partendo dalla parola di Paolo in I Corinti 7,25, “Quanto alle vergini non ho alcun comando del Signore, ma do un consiglio”.
In passato la verginità, come anche la povertà volontaria e l’obbedienza, sono state spiegate di preferenza con la categoria dei consigli evangelici, e su questo abbiamo la lucida sintesi di S.Tommaso d’Aquino nella Somma che viene sempre ripresa anche nella legislazione canonica.
Quello che si poteva dire e capire della verginità e del celibato con tale concetto, è stato credo ormai ampiamente illustrato e ben poco si può aggiungere.
Forse perciò conviene che cerchiamo di vedere quello che si può capire partendo da un’altra categoria, usata dall’apostolo proprio nello stesso contesto, la categoria di carisma.
Ciascuno ha il proprio carisma, il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. ICor7,7.
Cioè lo sposato ha il suo carisma e il celibe, invece, ha il suo carisma.
L’idea di dono, del resto, è implicita nella stessa parola con cui Gesù istituì questo stato nuovo nel mondo: Non tutti possono capire ma solo coloro ai quali è donato di capire.
Dunque alla base c’è un dono.
Se la verginità è essenzialmente un carisma, allora esso è una manifestazione particolare dello Spirito, perché così è definito il carisma. Se allora è un carisma è più un dono ricevuto da Dio che non un dono che noi facciamo a Dio, il carisma è definita gratia gratis data, un dono gratuito.
Per i vergini vale in particolare la parola di Gesù: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.
Non si sceglie la verginità, il celibato per entrare nel Regno, per salvarsi meglio l’anima!, ma perchè il Regno è entrato in te, ti ha requisito!, si è impossessato di te, ti ha scelto e tu senti il bisogno di rimanere libero da ogni legame per rispondere a questa chiamata.
Se ci sono tanti che vogliono rimanere liberi per dedicarsi all’arte o altre cause della vita, perché non ci devono essere persone che chiedono di rimanere libere per dedicarsi al Regno dei Cieli?
Si profila anche qui la necessità di una bella e santa conversione che consiste nel passare dall’atteggiamento di chi crede di aver fatto un grande sacrificio nella vita, all’atteggiamento tutto contrario di chi si accorge di aver ricevuto un incredibile dono e si mette a ringraziare, non ha più parole per ringraziare!
A volte i nostri fratelli laici ci inducono in tentazione perché dicono magari, alcuni di essi: che bravi che siete stati a rinunciare ad avere una famiglia vostra, una carriera, per chiudervi in seminario. E noi finiamo per credere di aver davvero fatto un grande sacrificio, mentre la realtà è il contrario.
Contrario è che al momento in cui uno percepisce in modo più o meno chiaro la propria vocazione, non può non capire che quella è una grazia straordinaria, forse, dal punto di vista esistenziale, la più grande grazia dopo il Battesimo.
Questo, in ogni caso, è stato il modo in cui io ho percepito all’inizio lo sbocciare della mia vocazione. La mia storia non ha nulla di speciale, ma la voglio accennare ugualmente perché questo è anche al servizio della Parola di Dio.
Io avevo 12 anni, era nel 1946, era da poco terminata la guerra, ero entrato in un seminario dei Cappuccini nelle Marche, non ancora sicuro di quello che avrei fatto nella vita. Dopo pochi mesi dalla mia entrata, ci fu un ritiro spirituale, il primo della mia vita. Ascoltare l’annuncio delle verità eterne, l’amore di Dio, Gesù Cristo, la vita eterna, l’inferno, mi ricordo ancora l’impressione della predica sull’inferno, capii che la vita è una cosa seria, che ne avevo una sola. Insomma, sentire quelle cose e sentirmi chiamato, sentire dentro di me chiara la vocazione religiosa, ma quello che ancora mi stupisce è che a 12 anni ebbi così chiara la visione della grandezza del dono che al sacerdote venuto a saggiare la mia vocazione io dicevo, con grande convinzione, che quella era la più grande grazia ricevuta dopo il Battesimo.
Un giorno ricordo che si andava a passeggio con tanto di abitino, anche i fratelli più piccoli, eravamo a passeggio ed eravamo su una collina che sovrastava la città di Fano, una collina dove c’è una abbazia di Camaldolesi. E mi ricordo che dicevo al mio compagno: vedi, a noi il Signore ha concesso di camminare come al di sopra del mondo. Ma quello che mi stupisce è che dentro di me c’era una chiarezza così forte che tutti i miei studi posteriori mi sono stati in grado di ricostruire la grazia di Dio. E questo un ragazzo di 12 anni che aveva ancora negli occhi l’orrore della guerra. Non è vero che a 12 anni è troppo presto per parlare di vocazione, se poi oggi non lo so, ma a quel tempo non lo era.
Se dunque la verginità e il celibato sono un carisma, allora essi vanno vissuti carismaticamente!, cioè come si vive di solito un dono!
Nessuno a Natale riceve un bel dono, un regalo con lo spirito rassegnato, distratto, senza esprimere nessuna gioia, sarebbe un villano naturalmente.

Anzitutto il dono si riceve con umiltà: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto? ICor 4,7
S.Ignazio di Antiochia scriveva: Se uno riesce a rimanere nella castità a onore della carne del Signore, vi rimanga con umiltà, perché se se ne vanta è perduto, e se si ritiene da più del Vescovo ( a quei tempi erano sposati) è rovinato!
Di una comunità di vergini, credo Royale, un visitatore apostolico, nel suo rapporto, dopo aver visitato questa comunità, scrisse: quelle donne sono pure come angeli, ma orgogliose come demoni.
I celibi e i vergini sono più esposti alla tentazione dell’orgoglio e dell’autosufficienza e il motivo è che loro non si sono mai inginocchiati davanti a un’altra creatura, non si sono mai, mettendosi in ginocchio, come si faceva una volta nel chiede la mano a un fanciulla, non sono mai resi mendicanti stendendo la mano e dicendo: dammi il tuo essere che il mio non mi basta. E dunque sono esposti a questa autosufficienza, questa non dipendenza.
Vivere la castità con umiltà significa non presumere delle proprie forze, riconoscere di essere vulnerabili, vulnerabilissimi e appoggiarsi unicamente sulla grazia di Dio mediante la preghiera.
Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. 2Cor 4,7
Paolo ha detto delle verità eterne che più passano i secoli e più ci si accorge di quanto erano vere!

Conosciamo ciò che dice a questo proposito il nostro amico Agostino: Nella mia esperienza credevo che la continenza dipendesse dalle proprie forze e io ero consapevole di non averle! Ero così stolto da ignorare ciò che sta scritto: Nessuno può essere continente se tu non glielo concedi. E tu me lo avresti certamente concesso se con il genio del mio cuore avessi bussato ai tuoi orecchi e gettato in te la mia preoccupazione.
E conosciamo anche il suo grido di vittoria dopo che ebbe scoperto questo: Oh Dio, Tu mi comandi di essere casto, ebbene, dammi ciò che mi comandi e poi comandami ciò che vuoi.

Se la verginità è un carisma allora deve essere vissuta, in secondo luogo, con libertà, perché dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è la vera libertà. Una libertà, si capisce, non esteriore, non libertinaggio, non un velo della carne, direbbe Paolo, ma una libertà che significa assenza di complessi, di tabù, di paure, di disagio. Bisogna guardare le cose come le guardava Gesù, avere quegli stessi occhi, occhi che riceviamo ogni mattina assieme al suo corpo, nell’Eucaristia; quindi li possiamo chiedere ogni mattina a Gesù i suoi occhi. Con che libertà Gesù poteva parlare di tutto!, della donna, del parto, dei fatti della vita, dei bambini, oh come Gesù stringeva a sé i bambini.
Si è fatto certamente un gran torto alla verginità in passato quando la si è circondata di una selva di paure, di sospetti, di “attento a questo, attento a quello”, facendo di questa vocazione una specie di strada sulla quale tutti i cartelli indicatori dicono: pericolo!, pericolo!
Abbiamo permesso al mondo di credere che quello che opera in lui, principio della sensualità, è più forte di quello che opera in noi, principio dello spirito. Mentre S.Giovanni dice a chiare lettere: Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo, cioè la forza che opera in voi, lo Spirito, è più forte della forza della carne, se si usano i mezzi dello Spirito.
Oggi c’è qualcosa di nuovo che lo Spirito Santo vuole fare, è vero che abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo, una scossa!
Ci chiama a testimoniare al mondo l’innocenza originaria delle creature e delle cose. Il mondo è sprofondato molto in basso, il sesso ci è montato alla testa, a tutti, è un’ubriacatura. Ricordare quel giornale che parlava di 167 milioni di siti che oggi possono mettere a disposizione il sesso, nella sua versione più trasgressiva, agli uomini e anche agli adolescenti.
Bisogna ridestare nell’uomo la nostalgia dell’innocenza e di semplicità che porta neil cuore anche se tanto spesso ricoperta di fango.
Non di un’innocenza di creazione, perché questa l’abbiamo perduta, ma di una innocenza di redenzione che ci è stata restituita da Cristo e che si può alimentare coi Sacramenti.
S.Paolo additava questo programma ai primi cristiani che vivevano in un ambiente che non era migliore del nostro, diceva: Siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita.
In questo modo noi possiamo davvero aiutare quei giovani che stanno riscoprendo la “nuova” verginità. Li possiamo aiutare dicendo loro che è possibile questa lotta, a credere che la castità è possibile e che essa, come diceva Tavore, essa non è segno di mancanza d’amore, o di rifiuto dell’amore, ma è segno di abbondanza di amore.

Infine, se la castità per il Regno è un carisma, essa va vissuta con gioia.
In passato clero, religiosi e religiose, hanno scelto di testimoniare, ce ne sono anche i motivi, con il colore del loro abito, regolarmente nero, o con altri segni, soprattutto l’aspetto di disprezzo del mondo, di rinuncia al mondo.
Sarebbe quanto mai opportuno che le comunità religiose, manifestassero anche l’altro aspetto del loro carisma, quello di essere anticipazione, nella fede e nella speranza, della luminosità e della gioia della Gerusalemme celeste, dove si dice che tutti portano una veste bianca, di lino puro e splendente.
In questo i domenicani e i cistercensi sono avanti di noi francescani, loro hanno già l’abito bianco.
Non riportare, insomma, del mistero pasquale soltanto la Croce, ma anche la Risurrezione. Forse è più importante! La Croce oggi il mondo la conosce, la conosce, ne è pieno, di croci, invece la Risurrezione la crediamo solo per fede, non per esperienza. E qualcuno allora deve ricordare questo, questo perchè è la nostra speranza. E questo spostamento del centro è visibile in alcune nuove comunità religiose che hanno scelto anche nel nome di testimoniare nel mondo d’oggi di essere profezia di questa vita nuova, Gerusalemme celeste, della vera bellezza, della vera gioia. Per esempio ho in mente le fraternità monastiche di Gerusalemme, chiamati anche monaci di città, nati a Parigi, oggi sono anche in varie città d’Europa, anche a Firenze. Le loro liturgie, il loro abito, parlano di questa Gerusalemme celeste, e le persone che vanno ad ascoltare le loro liturgie se ne accorgono!
Gesù ci ha lasciato un’immagine che vale per tutti i discepoli, ma soprattutto per i consacrati, clero e religiosi, la parabola delle 10 vergini che vanno incontro allo sposo per entrare nel banchetto, e certamente non erano vestite a lutto, andavano alla festa.

Ma forse il risultato più importante che si ottiene considerando il celibato e la verginità un carisma, è quello di far cadere finalmente la tacita contrapposizione tra celibato-verginità e matrimonio che tanto ha afflitto tutti e due i carismi.
Io amo molto i padri della Chiesa, però devo fare loro una riserva. I trattati sulla verginità sia dei padri greci, Crisostomo, Nisseno, quelli latini, Ambrogio e Agostino, prima di iniziare a parlare della verginità, prima, per metà devono demolire il sacerdote, parlano dei mali del sacerdote, e la verginità era edificata sulle rovine del sacerdote, del matrimonio.
Nel NT la verginità ha un motivo essenzialmente positivo, il Regno dei Cieli, il Signore. Nei padri acquista un motivo prevalentemente negativo, ascetico, la rinuncia al matrimonio o l’affrancamento dalle passioni.
In Gesù il motivo “per il Regno” prevale sul fatto, il non sposarsi. Qui spesso il fatto di non sposarsi prevale sul motivo “per il Regno dei Cieli”.
Nella nozione di carisma e in quella di vocazione, le due forme di vita possono vivere riconciliate fra loro, e Gesù stesso ce ne dà l’esempio, perché il logion sulla continenza perfetta è impersonato da altri due logion, uno sull’indissolubilità del matrimonio, “all’inizio non era così”, e subito dopo quello sui bambini, che anch’essi ci parlano della bellezza del matrimonio.

Ora facciamo un passo avanti.
Il carisma dice S.Paolo, è una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune, e S.Pietro lo conferma dicendo che ciascuno deve vivere secondo il carisma o la grazia che gli è stata data mettendola a servizio degli altri.
Cosa significa tutto questo?
Che il celibato e la verginità sono anche per gli sposati, e il matrimonio è anche per noi.
La verginità consacrata, quindi, non è un affare privato, una scelta personale, è per l’utilità comune. Nella Chiesa vergini e sposati si edificano a vicenda. Gli sposati sono richiamati da noi al primato di Dio. Il matrimonio è bello e santo ma non è tutto perché passa la scena di questo mondo, tutto ciò che passa non è che un simbolo, diceva Goethe alla fine del Faust. E poi noi ricordiamo agli sposati il primato della parola di Dio. Ma anche i vergini e i celibi imparano da loro qualche cosa. Imparano la generosità, la dimenticanza di sé, il servizio della vita, una certa libertà che viene dal trovarsi libera da anni dell’esistenza.
In molti ordini religiosi, compreso il mio, un tempo ci si alzava a mezzanotte per recitare il mattutino che era di tre notturne. Poi vennero i tempi moderni, l’apostolato dei sacerdoti, lo studio degli studenti, e un po’ alla volta questa pratica è andata in disuso, eccetto forse in qualche luogo di formazione. Ebbene si è accettato questo fatto.
Nel mio ministero ho avuto la possibilità di accostare delle famiglie, in particolare a Milano avevo un gruppo di dieci famiglie giovani con molti bambini con i quali facevamo un cammino insieme. E io a contato con loro ho avuto una bella lezione: ho capito che queste persone non si alzavano una notte, ma due, tre, quattro, cinque; se c’era il bambino piccolo che piangeva bisognava dargli la medicina, calmarlo, e la mattina alle sette via col bambino per portarlo all’asilo o dai nonni, a timbrare il cartellino per entrare in fabbrica, tempo buono e tempo cattivo, salute buona o cattiva.
Allora mi son detto, qui se non corriamo ai ripari, siamo in grave pericolo! Il nostro genere di vita, se non è sorretto da autentica osservanza della regola per i religiosi, da zelo pastorale e da un vero rigore di orario e di abitudini, rischia di diventare una vita all’acque di rose e di portarci alla durezza del cuore. Quello che dei buoni genitori sono capaci di fare per un figlio, per il loro figli carnali, il grado di dimenticanza di sé, le rinunzie che fanno, dovrebbe essere la misura di ciò che dovremmo fare noi per i nostri figli spirituali, per la Chiesa, per i poveri. E c’è l’apostolo Paolo che dice ai Corinti: Io mi spenderò e mi consumerò per voi.
Questo mostra l’utilità che vi sia nella comunità cristiana una sana integrazione di carismi per cui sposati e celibi non vivono rigidamente separati, ma in modo di aiutarsi, esaltarsi a vicenda a crescere. Non è vero che la vicinanza dell’altro sesso e delle famiglie, per chi non è sposato sia sempre un pericolo, una minaccia, lo è se uno non ha fatto ancora liberamente la propria scelta, allora lo è anche per lo sposato.
Una giusta conoscenza della vita degli sposati, aiuta noi sacerdoti a non rimanere per tutta la vita con l’idea romantica del matrimonio che si poteva avere da seminaristi o da adolescenti. Ed è terribile. Perché la conoscenza ci abilita a un sano realismo che è necessario per annunciare la parola di Dio. Io sono convinto che se i sacerdoti e i religiosi conoscessero la vita degli sposati, ma non come ci viene mostrata in televisione, com’è nella realtà, benedirebbero Dio da mattina a sera per il dono ricevuto e sarebbero tanto più comprensivi nei confronti degli sposati.
In passato, quando si viveva in un clima di cristianità, la distinzione più necessaria era quella tra le componenti diverse di questa comunità, tra il clero, i religiosi e i laici. Oggi non è più così. Oggi la distinzione più necessaria non è quella tra le componenti all’interno della Chiesa, ma è quello tra la Chiesa, comunità credente, e il mondo esterno secolarizzato da evangelizzare.
Questo certamente non significa rinunciare ognuno al proprio stile di vita. Oggi stanno nascendo nuove forme di comunità dove ci sono famiglie e consacrati che vivono insieme. Ma anche in questo stato si sente il bisogno di un ambiente proprio per ognuno per coltivare ognuno il proprio carisma.

Abbiamo basato il nostro discorso sul fatto che la verginità è un carisma, un dono ricevuto da Dio, ma come nella Messa offriamo a Dio quel pane e quel vino che abbiamo ricevuto dalla sua bontà, perché da dono ricevuto divenga dono offerto, così la verginità da dono ricevuto deve diventare dono offerto a Dio sacrificio vivente e imitazione eucaristica di Cristo. La cosa più bella che possiamo fare è di rinnovare il nostro Eccomi, il nostro sì.
Se esso è sincero ha il potere di annullare anche il passato più compromesso e rendere una persona più bianca della neve.
Parlando dei santi innocenti, Peguy ha scritto: Non sarà mai detto che ciò che è recuperato, difeso palmo a palmo, ripreso, raggiunto, sia lo stesso di ciò che non è stato mai perduto, che una carta imbiancata sia lo stesso di una carta bianca, e che una tela imbiancata sia una tela bianca e che un’anima imbiancata sia come un’anima bianca.
Questo è vero, caro Peguy, ma Dio è capace di smentire anche questa legge, e lo ha fatto spesso.
In un senso spirituale, vergini non si nasce, ma si diventa.