Dacci oggi il nostro pane quotidiano - San Cipriano

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San Cipriano - Vescovo e Martire

Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano

"Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori..."

Dicendo la preghiera del Signore noi chiediamo: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Ciò può essere inteso sia in senso spirituale, che in senso materiale, poiché l'uno e l'altro hanno un significato, nell'economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro non lo è. E come diciamo "padre nostro", perché è Padre di coloro che intendono e credono così invochiamo anche il pane nostro ", poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo, mediante la santa Eucarestia. Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane.

Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato, il pane celeste, e così, privati della comunione veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51). Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. E' evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia (consapevolmente per negligenza) si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. E' un fatto di cui preoccuparsi.Preghiamo il Signor che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa ,dicendo minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro ; cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina. Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: " E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori "Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe. Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l’animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i nostri peccati. Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c'è in noi la verità (cfr. 1 Gv 1,8). Nella sua lettera ha unito assieme l'una e l'altra cosa: che noi dobbiamo pregare peri nostri peccati e che otteniamo l'indulgenza quando preghiamo. Con questo. Ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.

Noi che siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio

Cristo vuole che noi chiediamo a Dio il perdono dei nostri peccati, ma ha condizionato il perdono divino al condono dei debiti che gli altri hanno con noi. Dobbiamo dunque ricordare che non è che possiamo ottenere ciò che chiediamo per i nostri peccati, se anche noi non avremo fatto altrettanto verso chi ha peccato contro di noi. Per questo in un passo del vangelo si dice: Con la stessa misura con la avrete misurato, sarete misurati anche voi (cf: Mt 7, 22). Quel servo che, pur avendo avuto il con di tutto il suo debito dal padrone, non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse ciò che era stato regalato dal padrone. Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice: " Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati " (Mc 11, 25).Nessuna scusa ti rimarrà nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il criterio che tu stesso hai usato con gli altri e ciò che avrai fatto agli altri lo riceverai a tua volta. Dio infatti ha prescritto che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali egli vuole che perseveriamo, cioè nella condizione di rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio, e coloro che hanno un solo spirito, abbiano pure un’unica anima ed un unico sentimento. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall’altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Anche nei sacrifici che per primi Abele e Caino offrirono, Dio non guardava ai loro doni, ma ai loro cuori, sicché nell’offerta gli era accetto chi gli era gradito nel cuore. Abele, uomo di pace e di giustizia, offre un sacrificio a Dio nell’innocenza, e così insegna che anche gli altri quando fanno un’offerta all’altare devono accostarsi con il timore di Dio, con il cuore semplice, con la legge della giustizia, con la pace e la concordia. Abele è tale nel sacrificio che offre a Dio, in seguito si è fatto egli stesso sacrificio a Dio. In tal modo, divenuto il primo dei martiri poté iniziare, con la gloria del suo sangue la passione del Signore, perché aveva posseduto la giustizia e la pace del Signore. Solo coloro che agiranno così saranno coronati dal Signore. Solo costoro nel giorno del giudizio condivideranno la gloria del Signore. Al contrario chi vive in discordia, chi è in disunione e non ha pace con i fratelli, secondo quanto attestano il beato Apostolo e la Sacra Scrittura, non potrà sfuggire alle pene riservate ai fautori della discordia fraterna, neppure se sarà ucciso per il nome di Cristo, poiché sta scritto: "Colui che odia il proprio fratello è omicida" (Gv 1 Gv 3,15), e l'omicida non raggiunge il regno dei cieli e non vive con Dio. Non può essere con Cristo chi ha preferito essere imitatore di Giuda piuttosto che di Cristo. 

 

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